La Provincia di Como del 3 febbraio 2002
Non so se la riforma Moratti potrà “ridare l’entusiasmo” alla scuola italiana, come chiedeva il titolo del pessimistico e rassegnato editoriale a firma di Renzo Romano. Ma sono convinto che per valutare il nuovo sistema di istruzione e formazione sia necessario fare chiarezza su alcuni punti fondamentali della riforma.
1) La proposta Moratti non è stata astrattamente calata dall’alto, ma è il punto di arrivo di un lavoro fatto assieme con chi vive la scuola. Dall’estate 2001 il gruppo di esperti condotto dal professor Bertagna si è costantemente confrontato con le famiglie, i docenti, gli alunni. E si è arrivati alla bozza di riforma presentata agli Stati generali di dicembre, che è stato un ulteriore punto di confronto e di dibattito allargato, come dimostrano gli oltre 300.000 contatti avuti in quei giorni dal sito Internet del ministero.
2) L’articolo ironizza sui quattro aggettivi usati dal ministro per indicare come sarà la nuova scuola (più libera e flessibile, più seria e rigorosa), come se la riforma fosse già operativa e avesse fallito. Si tratta di un singolare capovolgimento della realtà, per di più commettendo alcuni errori nella presentazione della riforma. Romano dice che «i ripensamenti (cioè il passaggio dal sistema dei licei al sistema della formazione) avranno un’unica direzione: dal liceo al professionale». Non è così. Ogni alunno potrà passare dal liceo alla formazione professionale ma sarà possibile anche il passaggio inverso, dalla formazione ad un liceo. Non è una differenza da poco, l’esatto contrario di una rigida scuola “classista”, che obblighi in modo irrevocabile a decidere del proprio futuro a 14 anni.
3) Valutazione. Si dice nell’articolo, «si è promossi o respinti ogni due anni. Con quale coraggio i prof potranno rimandare indietro di due anni i loro alunni meno fortunati?» Gli alunni che avranno una preparazione non sufficiente ripeteranno solo il secondo anno. Si eviterà di continuare a promuovere gli studenti per il solo fatto di frequentare la scuola e “a prescindere” dalla loro effettiva preparazione, restituendo serietà alla preparazione scolastica.
4) Federalismo. La riforma prevede che il 10% dei programmi siano di carattere regionale e ciò fa pronosticare all’editorialista che gli studenti delle regioni meno ricche di opportunità saranno danneggiati. Difficile da credere, perché ogni regione italiana è ricca di peculiarità da valorizzare: anzi è da ritenere che proprio gli alunni delle regioni “più indietro” potranno trarre orgoglio e stimoli dall’approfondimento della cultura locale.
5) Alternanza scuola-lavoro. Romano avanza il sospetto “che non siano i giovani a guadagnarci” ma le imprese. Va spiegato che l’alternanza scuola-lavoro consiste nella possibilità di stage in realtà sociali, culturali e del mondo produttivo, in enti pubblici e privati, non profit e imprese. Ogni singola scuola entrerà in proficua relazione con il tessuto sociale ed economico nella quale si trova ad operare e che ogni ragazzo ne ricaverà la possibilità di fare un’esperienza concreta (e protetta) che gli potrà consentire di valutare meglio le proprie inclinazioni e capacità e, in prospettiva, di agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro.
Siamo al punto di partenza della nuova scuola, una scuola che unisce tradizione e futuro, perché valorizza e recupera il meglio della nostra tradizione scolastica unendolo con quanto serve affinché le giovani generazioni siano in grado di rispondere alle sfide del mondo presente e futuro, a cominciare dalla conoscenza dell’informatica e delle lingue straniere.
Tradizione e futuro: un binomio che forse non ridarà entusiasmo ma sicuramente offre alla intera società italiana un’occasione importante per riprendere coraggio e fiducia nel proprio sistema scolastico.
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