LIBERTA’ DI EDUCAZIONE: Inutile senza il buono

Il sole 24 ore del 31 marzo 2003
di Dario Antiseri

L’attuale maggioranza governativa si era impegnata in campagna elettorale all’approvazione di una legge di parità che comportasse un’autentica autonomia delle scuole nella persuasione che la legge 62/2000 non fosse una vera e propria legge di parità. L’altro impegno era l’attivazione del buono-scuola. Di seguito le posizioni di alcuni protagonisti della maggioranza di Centro-destra.

-Il 2 luglio 2002, in VII Commissione della Camera, Antonio Palmieri (Forza Italia) ha ricordato «che le quattro proposte di legge (di deputati della maggioranza in materia di diritto allo studio e parità scolastica, con la proposta di attivazione del buono-scuola) sono tutte di iniziativa parlamentare, su di un tema ineludibile per le forze di maggioranza, sul quale queste ultime hanno chiesto la fiducia agli elettori. E ovviamente importante sapere quale intendimento vuole assumere il Governo rispetto alla tematica in esame».

-Il 21 gennaio 2000, in Aula alla Camera, in sede di replica, Valentina Aprea, allora all’opposizione, ora sottosegretario, affermava:

-Il 3 dicembre 2000, in Aula alla Camera, nella discussione sulle iinee generali dell’atto Camera 6270 (approvato come legge 62/2000), Carlo Giovanardi. ora ministro per i Rapporti con il Parlamento faceva presente: «il relatore ha appena spiegato come abbiamo fatto il primo passo all’indietro rispetto alla parità scolastica, perché se fosse un passo in avanti, noi potremmo essere anche d’ accordo. Purtroppo è un sensibile passo indietro perché di parità scolastica qui si parla solo nel titolo “Norme per la parità scolastica”. Nel resto, sulla parità scolastica non vi è nulla, anzi vi sono alcune affermazioni francamente irritanti e mistificatorie»

-Nella stessa data e stessa discussione, Antonio Martino, ora ministro della Difesa, sosteneva: «Le norme sottoposte al nostro esame non solo non risolvono ma nemmeno affrontano correttamente un problema che riveste per il futuro del nostro Paese un’importanza cruciale, oserei dire drammatica».

Tutto ciò perché non si perda memoria di promesse fatte. Ma soprattutto perché non si dimentichi che senza buono-scuola non ci sarà mai vera parità scolastica né potrà venire estirpata dal nostro sistema scolastico la mala pianta dello statalismo, cioè del monopolio o quasi-monopolio statale dell’istruzione.

La proposta del buono-scuola, viene avversata da tutti i “conservatori” i quali non si rendono conto che la competizione è la più alta forma di collaborazione (nella ricerca scientifica, nella vita della democrazia, nella libera economia) e che essa è un principio di scoperta del nuovo tra cui poi è possibile scegliere il meglio. Avversano la competizione anche gli insegnanti che preferiscono vivere in nicchie ecologiche protette. E la stragrande maggioranza della sinistra non riesce a mettersi in testa che il buono-scuola rappresenta una carta di liberazione per le famiglie meno abbienti. E c’è da riflettere sul fatto che la mancanza di un principio di effettiva competizione all’interno del nostro sistema scolastico svuoterà tutte le possibili riforme odierne e future.

La questione dell’introduzione di linee di competizione all’interno del nostro sistema scolastico non dovrebbe più configurarsi come questione di destra o di sinistra, ma solo di intelligenza e di lungimiranza, di preoccupazione per la formazione dei nostri giovani. Perché, tra l’altro, come è stato detto, un Paese non può essere ricco e stupido per più di un generazione. Bene, pertanto, ha fatto il Governo a introdurre il principio della detrazione di imposta, che è una detrazione dall’imposta che una famiglia deve corrispondere allo Stato, talché in questo caso si versa a saldo la differenza risultante oppure si espone il credito derivante allo Stato. Si tratta di una scelta nuova e molto positiva, ma che rischia di rimanere un’ affermazione di principio che nella pratica si trasforma in una beffa se i 30 milioni di euro fissati dalla Finanziaria per ciascuno degli anni 2003, 2004, 2005 al la fine si risolvono in 170 mila delle vecchie lire per ogni alunno avente diritto.

Sono comprensibili le difficoltà finanziarie che il ministro Tremonti deve affrontare, così come sono comprensibili gli ostacoli burocratici e politici che ha dovuto e deve fronteggiare il ministro Moratti. Ma è anche chiaro che un Paese che non pone in cima alle sue preoccupazioni risorse adeguate per la formazione è un Paese con un futuro buio. E chiedo: ci siamo veramente preoccupati dei nostri giovani allorché è stato proposto un esame di maturità che — sconnesso da un ingresso selettivo per meriti nelle diverse facoltà universitarie — è solo un altro scivolone sulla china dell’irresponsabilità delle scuole? Costituiscono o no una preoccupazione, per gli insegnanti che avrebbero dovuto orientarli, le migliaia e migliaia di giovani che si sono iscritti ai diversi corsi di laurea in scienze della comunicazione, futuri disoccupati? E si è seriamente riflettuto sulle possibili conseguenze che avrà la proposta della scelta che i nostri giovani a 13 anni dovranno fare per la formazione professionale?

Resta ancora in tanti bravi insegnanti l’ottimismo del cuore e la volontà di impegno. C’è da sperare che la classe dirigente non seguiti a deluderli.


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