Il buono scuola, strumento di libertà

Relazione introduttiva
del 2 luglio 2002

Con questa mia relazione introduttiva – in quanto relatore del provvedimento – inizia in Commissione Cultura l’iter della legge sulla parità scolastica. Di seguito puoi leggere il verbale della relazione:

“Il relatore avverte preliminarmente che la relazione che si accinge a svolgere sarà articolata in tre parti. La prima consisterà in una introduzione cultural-politica per inquadrare correttamente la questione e la linea di pensiero nella quale essa si inserisce nonché per tentare di cogliere gli elementi di fondo unificanti delle quattro proposte di legge all’attenzione della Commissione. Ciò non soltanto per una forma di rispetto nei confronti dei deputati che hanno promosso l’iniziativa legislativa in materia ma anche al fine di rendere più agevole il confronto tra la maggioranza e le varie componenti dell’opposizione, con l’obiettivo di pervenire ad un auspicabile punto di incontro.
Nella seconda parte della relazione affronterà invece, nel merito, l’illustrazione delle proposte di legge, giungendo quindi ad un passaggio finale di carattere metodologico, collegato ad un auspicio.

Il dibattito in corso verte su una fondamentale libertà: la libertà di educazione, ossia un concetto – o, meglio, un diritto-dovere – che poggia su due cardini. Il primo, culturale, basato sul ribadire con chiarezza il concetto di servizio pubblico, con tutte le conseguenze che ne derivano; il secondo, costituzionale, fondato sulle garanzie, sui compiti e sui doveri che la Costituzione attribuisce alle famiglie ed allo Stato in merito all’istruzione dei figli.

Con riferimento al cardine culturale sotteso alla questione in esame, rileva che pubblico non è uguale a statale. Pubblico è il servizio erogato: non lo deve essere necessariamente anche il soggetto erogatore. Ancora oggi, in alcune forze politiche e, purtroppo, anche nella mentalità di troppi cittadini, il concetto di pubblico coincide con quello di statale. Frutto di culture, di ideologie e di politiche stataliste attuate per decenni nel nostro paese, l’equazione pubblico uguale statale ha determinato una gestione monopolista e statalista della cosa pubblica, che ha prodotto inefficienza nei servizi e spreco di denaro pubblico ma, soprattutto, ha determinato lo scollamento tra cittadini ed istituzioni, la deresponsabilizzazione dei singoli e dei gruppi sociali, il disimpegno nei confronti dei beni collettivi che, essendo di tutti, finiscono per non essere di nessuno.

Nell’ambito della scuola, il superamento di questa errata concezione di servizio pubblico è stato enunciato nella legge n. 62 del 2000 («Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione»). Qui finalmente una legge dello Stato sancisce la funzione pubblica delle scuole non statali, riconoscendo che «il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e dagli enti locali». Peraltro il riconoscimento della funzione pubblica delle scuole non statali è già contemplato dalla Costituzione, che assicura la piena libertà alle scuole non statali, ne riconosce la piena dignità ed il valore legale del titolo di studio da esse rilasciato.

La legge n. 62 del 2000 riconosce la parità giuridica ma non la parità economica. Infatti, alla dichiarazione di principio contenuta nella parte iniziale della legge non è seguita nei fatti l’indicazione su come realizzare la parità economica, unica misura in grado di dare la parità scolastica, garantendo la libertà di educazione, cioè di scelta per le famiglie, a prescindere dalle loro condizioni di reddito. L’unico intervento di tipo economico compreso nella legge n. 62 del 2000 è quello previsto dalla norma in materia di «interventi economici realizzati prioritariamente in favore delle famiglie in condizioni svantaggiate». Si tratta di un intervento che non sancisce la parità scolastica per tutte le famiglie e che, per di più, prefigura ancora una volta una politica familiare di tipo prettamente assistenziale e non di promozione di tutti i nuclei familiari.

In questo contesto, il buono-scuola viene proposto come strumento per attuare la parità e portare a compimento il dettato della legge n. 62 del 2000. Esso è stato definito una «Carta di liberazione per le famiglie meno abbienti», perché consente alle famiglie di scegliere liberamente la scuola alla quale iscrivere i propri figli, senza limitazioni dovute al reddito. Idea avanzata inizialmente dal premio Nobel per l’economia Milton Friedman, successivamente ripresa da un altro premio Nobel, Friedrich von Hayek, e che ha trovato in Italia adesioni da parte di intellettuali liberali, quali Antonio Martino, Antiseri, Adornato, Infantino ed altri, il buono-scuola è innanzitutto una proposta che favorisce la libertà delle famiglie nella scelta di quella che reputano la migliore educazione per i propri figli e che consente di attuare compiutamente quanto previsto dalla legge sulla parità approvata dal precedente Governo.

Onestà intellettuale e correttezza politica impongono tuttavia di precisare che il buono-scuola è uno dei possibili strumenti per attuare la libertà di educazione: nel dibattito in corso da alcuni anni su questa materia ne sono stati indicati altri, quale, ad esempio, il credito d’imposta, che mirano allo stesso obiettivo: rendere concreta per tutte le famiglie la possibilità di scelta in campo scolastico.

La realizzazione della parità scolastica attraverso lo strumento del buono-scuola contribuisce a realizzare un nuovo sistema di Welfare, fondato su di un diverso rapporto tra Stato e società civile, rapporto fondato su quel formidabile principio di libertà (e di responsabilità) che è il principio di sussidiarietà.
Oggi il campo della scuola è uno dei settori della società italiana nei quali più acuto comincia a farsi sentire il contrasto tra i bisogni dei cittadini e le prestazioni dello Stato. Anche in questa circostanza il principio di sussidiarietà «orizzontale» – non faccia lo Stato ciò che i privati possono fare da soli e le istituzioni pubbliche intervengano solo laddove singoli e corpi sociali sono in situazione di difficoltà e per il tempo strettamente necessario a renderli nuovamente protagonisti – costituisce la più solida difesa della libertà e responsabilità dei singoli e dell’autonomia dei corpi intermedi nei confronti delle pretese dello statalismo e la più adeguata e moderna risposta alla crisi del vecchio sistema del Welfare State, in crisi per motivi economici e per un deficit di qualità delle sue prestazioni.

Nell’orizzonte culturale determinato dal principio di sussidiarietà, la proposta del buono-scuola va nella direzione della costruzione di un nuovo tipo di Welfare, che sappia garantire il carattere universale della tutela sociale e, nel contempo, aumentare qualità ed efficienza dei servizi. Alcuni studiosi definiscono questa nuova proposta Welfare society o Welfare community, altri «società della libertà scelta». Comunque lo si voglia chiamare, questo nuovo sistema consiste nel fare entrare concretamente a pieno titolo nel sistema pubblico oltre all’offerta statale di servizi anche un offerta privata (entrambe regolate dalle autorità governative), sulla quale chiamare ad intervenire imprese, cooperative, mondo nel non profit, per dare ai cittadini la possibilità di scegliere liberamente la qualità della propria formazione.

Il pieno coinvolgimento dei corpi sociali nella gestione dei servizi accresce la libertà di scelta dei cittadini e, insieme, la responsabilità di tutti verso il «bene comune», sentimento che non può emergere finchè prevale il sentore di essere sudditi di uno Stato-padrone nei confronti del quale ci si limita a lamentarsi, mai assumendo l’onere di un’azione positiva. Viceversa, si ritiene che lo Stato non sia padrone del bene comune, ma debba porsi al suo servizio promuovendo, stimolando ed armonizzando tutte le energie che, all’interno della società, sono disposte a mettersi in gioco.

In definitiva è questo l’orizzonte entro cui si colloca la proposta del buono-scuola: un’offerta pubblica (statale o privata) all’interno della quale cittadini e famiglie possano scegliere l’offerta che preferiscono. Inoltre, l’estensione a tutte le famiglie – in base a criteri che tengano nel dovuto conto le differenze di reddito – si configura come un atto di politica familiare non assistenziale ma rivolto alla promozione di tutte le famiglie e non soltanto di quelle che sono in condizione di indigenza.

Chi è per il buono-scuola non è contro la scuola statale bensì contro il monopolio statale dell’educazione. La scuola di Stato è un grande patrimonio che abbiamo ereditato e che deve essere rinvigorito ed adoperato al meglio. Il fatto è che storicamente le comunità umane non hanno trovato altro strumento per far crescere la qualità di qualsiasi sistema che fa ricorso alla gara, alla concorrenza, all’emulazione. Per questo motivo, il miglioramento della scuola di Stato passa attraverso l’introduzione di linee di regolata competizione con l’offerta privata. In un unico sistema pubblico articolato, regolato da norme certe e valide per tutti, sia l’offerta statale che quella privata sarebbero costrette a gareggiare tra loro in qualità ed efficienza, migliorando entrambe continuamente le proprie prestazioni per rispondere alla domanda dell’utente, il quale potrà liberamente scegliere dove rivolgersi utilizzando il proprio buono-scuola.
In questo modo, peraltro, la tutela non cessa affatto di essere universale: anzi lo diventa ancor di più, perché mentre oggi chi è più ricco può scegliere liberamente, per sé e per i propri figli, scuole di eccellente qualità, anche all’estero, chi è più povero, al contrario, è costretto a non poter scegliere.
Con il buono-scuola, in realtà, anche i ceti più deboli potranno scegliere le scuole che reputano migliori ed il servizio offerto dalle scuole statali, lungi dallo scomparire, sarà obbligato a cambiare rotta, a rimodellarsi.

In definitiva, il buono-scuola, introducendo linee di competizione all’interno del nostro sistema scolastico, è una misura tesa a migliorare sia le scuole statali sia quelle non statali. Gaetano Salvemini diceva che «dalla concorrenza delle scuole private libere, le scuole pubbliche hanno tutto da guadagnare e non da perdere».

La nostra Costituzione parla chiaro in tema di libertà di educazione. Ne fanno fede gli articoli 3, 30, 31, 33 e 34. L’articolo 30 prescrive che «È dovere e diritto dei genitori, mantenere, istruire ed educare i figli». L’articolo 31 afferma che la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose e protegge la maternità e l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

L’articolo 33 sancisce che la Repubblica detta le norme generali sulla istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.

L’articolo 34 afferma che la scuola è aperta a tutti; l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi; la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

È necessario favorire l’attuazione del dettato costituzionale dell’articolo 33, quarto comma, che recita: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà, ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali». Equipollenza di trattamento scolastico si intende su tutti gli aspetti della vita scolastica, compresi quelli economici, proprio perché la Costituzione non ne esclude nessuno. Il «senza oneri per lo Stato», di cui all’articolo 33, terzo comma, in relazione alla istituzione di scuole da parte di «enti e privati», va letto alla luce dei contenuti di cui al quarto comma del citato articolo 33 nei riguardi degli alunni di scuole paritarie. «Onere», significa che nessuno può obbligare lo Stato a erigere scuole non statali; nel contempo Stato e regioni, possono decidere di sostenere le scuole esistenti, o agevolare i genitori nel compito costituzionale e civile di educare i propri figli.
Vi è, invece, l’obbligo statale di garantire almeno una scuola dell’obbligo gratuita per tutti i cittadini in base all’articolo 34 della Costituzione. Non vi è riscontro che la scuola dell’obbligo debba essere assicurata solo a chi frequenta le scuole statali. Anzi. La Costituzione si basa sul principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini e sul dovere dello Stato di rimuovere le cause che la impediscono. Tocca allo Stato, quindi, garantire non solo l’insegnamento e l’apprendimento, ma anche l’effettivo esercizio di tali libertà a parità di condizioni.

Entrando in Europa, è venuta ulteriormente a maturare non solo l’esigenza di riformare lo Stato, ma anche di rivedere alcune impostazioni e concezioni che miravano a limitare la libertà di educazione. Nell’Unione siamo, con la Grecia, le uniche due Nazioni a non avere compiutamente legiferato in merito alla parità scolastica. Ricorda a tal proposito la risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 1984, la quale dopo aver chiamato in causa l’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata il 10 dicembre 1948 e l’articolo 2 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, conferma i seguenti princìpi:
il diritto alla libera scelta della scuola per i figli da parte dei genitori;
il compito dello Stato di consentire la presenza di scuole pubbliche e private allo scopo necessarie ed equiparabili;
l’obbligo per gli Stati membri di rendere possibile il diritto alla libertà di insegnamento anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti statali corrispondenti.
Infatti la risoluzione ricordava agli Stati aderenti che «il diritto alla libertà di insegnamento implica, per sua natura, l’obbligo per gli Stati membri di rendere l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario».
Conseguentemente, anche in virtù dell’articolo 149 del Trattato che istituisce la Comunità europea, come modificato dal Trattato di Amsterdam di cui alla legge 16 gennaio 1998, n. 209, appare indispensabile che il Parlamento italiano affronti la questione della parità scolastica al fine di determinare i criteri che vanno adottati
per garantire condizioni di parità a tutti i cittadini eliminando le condizioni di discriminazione in cui versano.

Esame delle proposte di legge
Tutte e quattro le proposte di legge in esame possono essere considerate delle «variazioni sul tema» della libertà di educazione e sui modi con cui garantire la libertà di scelta di famiglie e studenti.
Una importante distinzione sta nel fatto che la proposta Garagnani è l’unica che si muove nel solco della normativa vigente e intende armonizzare le discipline regionali «al fine di rendere omogeneo il quadro normativo in materia di diritto allo studio e di parità scolastica così come delineato dalle varie leggi emanate dalle regioni, che si presentano particolarmente differenziate», come si legge nella relazione d’accompagnamento.

Le altre proposte di legge – con varie sfumature – riscrivono di fatto il sistema scolastico italiano sempre con riferimento alla effettiva realizzazione della libertà di educazione. E tutte e quattro sono accomunate dalla indicazione del buono-scuola come strumento per realizzare l’obiettivo. Nella pdl Garagnani il buono è prerogativa delle regioni, nelle altre è invece lo Stato centrale che eroga il buono.

In particolare, la proposta di legge Bono configura una vera e propria «rifondazione» del sistema scolastico italiano e prevede il buono-scuola come strumento più idoneo a finanziare il nuovo sistema.
La proposta di legge di iniziativa del deputato Angela Napoli riformula la legge n. 62 del 2000, di cui riprende parte dei contenuti. Si prevede un’erogazione del buono-scuola a vantaggio degli istituti scolastici, in ragione del numero di alunni. Oltre al buono-scuola, è previsto un intervento di diritto allo studio e le spese sostenute costituiscono crediti d’imposta.
Infine, la proposta di legge Bianchi Clerici è essenzialmente dedicata alla scuola dell’obbligo: il buono-scuola è erogato alle famiglie, che lo «girano» alla scuola stessa, statale o privata che sia.

In conclusione, oggi si avvia un cammino che non sarà breve né facile. Propone quindi di dividere i lavori in due fasi. Una prima fase, di approfondimento, potrebbe essere finalizzata alla discussione sulla relazione, per capire gli orientamenti dei colleghi e delle forze politiche, nonché allo svolgimento di audizioni sul funzionamento della legge n. 62 del 2000 e sul funzionamento delle leggi sul buono-scuola regionali, così come auspicato da alcuni gruppi. Sarebbe anche opportuno acquisire una panoramica su come funziona effettivamente tutta la questione del diritto allo studio e su come, nei Paesi dell’Unione e non solo viene risolto il tema della libertà di educazione, valutando altresì la posizione del Governo. Infatti le quattro proposte di legge sono tutte di iniziativa parlamentare, su di un tema ineludibile per le forze di maggioranza, sul quale queste ultime hanno chiesto la fiducia agli elettori. È ovviamente importante sapere quale intendimento intende assumere il Governo rispetto alla tematica in esame.

La seconda fase, di decisione, terminato l’ampio e doveroso approfondimento, dovrà vedere la commissione decidere su come procedere (nomina di un comitato ristretto, adozione di un testo base, ulteriori modalità di prosecuzione dell’esame).

Esprimo infine un auspicio. Oggi si inizia un percorso lungo e faticoso. Mi auguro che esso possa essere un momento serio di confronto tra concezioni culturali e politiche diverse e anche opposte tra loro, senza cedere alla tentazione di fare della scuola un campo di battaglia politica in funzione antigovernativa.


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