In Europa servono risultati e non pacche sulle spalle

Gentile Presidente, caro Presidente Gentiloni, io personalmente per la stima che mi lega a lei da molti anni, ma noi, come gruppo, le facciamo i più sinceri auguri, per l’appuntamento che l’attende e attende, tramite lei, l’Italia, da qui a pochi giorni, in Europa. Le facciamo i più sinceri auguri, perché noi siamo abituati a fare il tifo per l’Italia, a differenza di quanto ci è successo quando noi rappresentavamo l’Italia in Europa e il suo partito era all’opposizione.

Le facciamo i più sinceri auguri, perché lei, tra pochi giorni, andrà in Europa al Consiglio, vestendo la maglia azzurra, non la maglia azzurra di Forza Italia – lo dico per coloro i quali teorizzano costantemente l’inciucio -, ma la maglia azzurra dell’Italia. E, in questo senso e in questa direzione, è d’obbligo per noi fare il tifo, perché lei porti a casa il maggior numero di risultati possibile.

Ma il tifo e la simpatia non ci rendono meno critici e non ci accecano – vedo che lei è impegnato con il Ministro degli esteri in un’accanita discussione, che spero sia proficua per il Consiglio d’Europa e non riguardi, magari, contingenze più immediate – ma, come le dicevo, il tifo e la simpatia nei suoi confronti non ci rendono meno critici.

Lei ha fatto, sul tema dell’immigrazione, un discorso fotocopia. Avremmo potuto prendere gli interventi di Enrico Letta, di Matteo Renzi, anche qualche suo intervento precedente e avremmo trovato più o meno le stesse parole, gli stessi accenti, le stesse aspirazioni. Ma la realtà, purtroppo, rimane anche quella immutabile, per cui lei dovrebbe andare in Europa, forte di un antico slogan del Carosello, che richiedeva “fatti, non parole”, e chiedere, per esempio, che agli ultimi incontri di La Valletta e al summit di Parigi del 28 agosto corrispondano adesso effettivamente iniziative concrete.

Infatti, se è vero che l’Italia ha salvato l’onore dell’Europa, è altrettanto vero che l’Europa ha scaricato tutti gli oneri sull’Italia e questo non è più accettabile per l’Italia e per la stessa situazione e per quel contenimento e regolazione dell’immigrazione, cui lei ha fatto riferimento, come uno dei nostri obiettivi come Paese.

Noi siamo lasciati soli ad affrontare, con strumenti locali, problemi globali. È una condizione che non può più andare avanti. Il suo stesso Governo, curiosamente, ha cambiato rotta, da poche settimane e pochi mesi. E la domanda che ci chiediamo noi è: perché non l’avete fatto prima? Perché i Governi di questa legislatura non lo hanno fatto prima e non hanno messo in campo prima quelle misure, che voi avete attuato con un contenimento estivo degli arrivi, che adesso, però, riprendono da un’altra rotta e ci rimettono in una condizione di emergenza?

Quindi, veramente l’accoglienza, senza limiti e senza regole, non è più sostenibile, pena la lacerazione definitiva del tessuto del Paese, pericolo dal quale vi ha messo in guardia proprio il Ministro Minniti, poche settimane fa.

Il secondo punto, che lei ha citato, riguarda l’economia digitale e l’Europa digitale. Qui sgombriamo il terreno da due equivoci di fondo. È evidente che la distinzione tra reale e virtuale non ha più ragione d’essere e, purtroppo, in gran parte della classe dirigente italiana, sia essa politica, industriale e anche culturale, questa distinzione invece permane. Siamo nell’era digitale, questo è un dato di realtà, e la rivoluzione digitale è un anacronismo. Noi dobbiamo attrezzarci per un’evoluzione digitale, cioè per il fatto di portare quotidianamente avanti quegli obiettivi, che sono indicati nell’agenda dei lavori, che riguardano la cyber-sicurezza, l’e-government, le infrastrutture, la ricerca e le competenze digitali.

Web tax: nel nostro Paese se ne parla da tanti anni. Il suo partito ha fatto stop and go su questo versante, ad opera del suo segretario. Noi abbiamo sempre sostenuto la necessità di agire, non da soli, con provvedimenti improvvisati, ma in un concerto europeo. Lei adesso, con gli altri tre grandi – definiamoli così – dell’Unione europea, avete stabilito di volervi muovere, non ho capito bene se attendendo la Commissione europea – che ha procrastinato al 2018 un’azione – o se andando sulla linea di quella cooperazione rafforzata, che lei stesso ha auspicato poche settimane fa e che, com’è noto, non richiede l’unità di tutti i 27 membri. Questo è uno dei nodi da sciogliere.

Al riguardo le segnalo che noi abbiamo una via italiana, che non è quella misura che avete approvato in primavera, la cui messa in opera è oggetto di controversie e di cui vedremo effettivamente i risultati nel tempo. Ma abbiamo quei due precedenti, di fine 2015 e di maggio 2017, cioè gli accordi che la nostra Agenzia delle entrate ha fatto con Apple e a primavera con Google, che hanno portato a casa complessivamente 324 milioni di incasso per il nostro erario, oltre a stabilire delle buoni prassi, per così dire, bilaterali con questi due giganti del web. Questa è una via da perseguire, credo, anche in attesa che il resto dell’Europa e del mondo si muova.

Vengo al fuori sacco, cioè noi e l’Europa, tema su quale lei si è molto intrattenuto, anche in questo caso con un intervento fotocopia. Lei ha parlato di confronto tra posizioni diverse, ha parlato di essere forti delle nostre determinazioni, ma le determinazioni nostre, a cui lei ha fatto riferimento, non sono forti: sono deboli. Sono deboli perché non vanno al cuore del problema. Sono deboli perché, ancora una volta, si mettono a rimorchio della vecchia e ormai stantia locomotiva. Parlare di locomotiva al Presidente del Consiglio, espressione del Partito Democratico in queste ore, evoca, per così dire, altri treni (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente), a rimorchio di una locomotiva franco-tedesca, che ha costantemente portato l’Europa a sbattere, l’Europa e in particolare l’Italia.

Il Presidente Macron ha espresso in ultimo il suo intervento alla Sorbona: alti concetti, ma la realtà, la messa in pratica parla del suo tentativo costante di inserirsi nel nostro rapporto privilegiato con la Libia, che è un rapporto storico, ai danni nuovamente dell’Italia. E su questo noi siamo silenti.

Così come il Ministro delle finanze, cito il presidente del mio gruppo, Renato Brunetta, e un recente suo articolo pubblicato su Il Foglio, a inizio di questo mese: noi non vogliamo un Ministro delle finanze che sia l’espressione dell’asse franco-tedesco (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente) e che, come la maestrina con la bacchetta, metta dietro l’angolo i più deboli, a scapito di chi, in realtà, avrebbe bisogno di più Europa davvero, non di quell’Europa lì, ma di quella che considera che siamo tutti membri di una stessa comunità.

Allora, noi non vogliamo il Ministro delle finanze: vogliamo il Ministro dello sviluppo. Vogliamo un Ministro dello sviluppo europeo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente), che, per esempio, metta mano ai 375 miliardi, che giacciono nel Fondo salva-Stati, e lo tramuti in un fondo per aiutare le iniziative dei singoli Paesi per lo sviluppo.

Lei ha fatto riferimento all’inizio al tasso di crescita del 2 per cento dell’area Euro, sì, ma non è il tasso di crescita dell’Italia, che è ancora lontano da questo punto e sappiamo tutti che serve almeno il 2 per cento di sviluppo per rimettere in moto il mercato occupazionale.

Chiudo, Presidente, chiudo. Come ho detto, noi facciamo sinceramente il tifo per lei, perché lei veste la maglia azzurra, in questo giorno poi lei è veramente simile al commissario tecnico Ventura: Ventura dovrà affrontare gli spareggi, per andare ai Mondiali, di qui a poche settimane, lei è chiamato, per sua stessa ammissione, ad affrontare gli spareggi con l’Europa per un dentro o fuori, un dentro o fuori sulle politiche digitali, un dentro o fuori sulle politiche dell’immigrazione.

Chiudo, su Dublino, perché siamo un po’ stufi di sentirci sempre rinfacciare Dublino. Dublino è del 2010: c’era un altro mondo, avevamo chiuso la rotta con l’Albania, avevamo chiuso la rotta che veniva dalla Libia, non c’erano state le cosiddette primavere arabe e non c’era la guerra in Siria. Di che cosa parliamo.

Appartiene a un mondo che non esiste più. In questo mondo lei ha il dovere e l’obbligo, per l’Italia, di portarci a testa alta in Europa e di portare a casa soprattutto, finalmente, risultati e non generici impegni e pacche sulle spalle.


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