La storia di Forza Italia sui temi etici è una storia di libero confronto, di decisioni prese dopo discussioni approfondite e della libertà di coscienza garantita a chiunque non si riconosca nella posizione assunta dal gruppo parlamentare, riconoscendo la reciproca legittimità di convincimenti e posizioni. È sempre stato così ed è così anche in occasione della legge sul fine vita.
Su questo tema non sarebbe stata necessaria una norma. Che lo Stato entri a regolare anche lo spazio che separa la vita dalla morte è un’invasione di campo della quale avremmo fatto volentieri a meno. A noi sta a cuore che lo Stato faccia quello che deve fare per garantire cure mediche accurate, senza alcuna forma di accanimento terapeutico e che sia garantito un leale e forte sostegno a coloro i quali chiedono la libertà di vivere e non quella di morire. Al di là della buona fede di molti dei proponenti, il testo che era stato elaborato a fine anno in commissione sarebbe stato il primo passo verso una legge per l’eutanasia. Grazie al lavoro fatto in questi mesi in commissione con il collega Sisto e con un manipolo di colleghe e colleghi abbiamo parzialmente migliorato la norma.
Ora, in aula, proponiamo di nuovo emendamenti ragionevoli, che tolgano ogni ombra eutanasica dal testo, agendo su tre punti chiave. 1. Idratazione e alimentazione non sono cure ma sostegni vitali. Nessuno è mai guarito da una malattia perché nutrito. È evidente che se a un disabile o a un malato cronico non terminale togli liquidi e alimenti rimangono solo il suicidio assistito o l’eutanasia passiva. 2. Come ho detto in commissione e in aula, il medico non può essere ridotto a un mero esecutore testamentario di volontà espresse magari anni prima. Noi siamo contro ogni forma di accanimento terapeutico e per una alleanza tra paziente, familiari e medici. Nella reciproca libertà e nel reciproco rispetto. 3. Le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) sono definite in modo troppo generico. Vanno circoscritte unicamente ai casi in cui sia accertata la definitiva perdita della capacità di intendere e di volere e comunque il medico deve poter tener conto dei progressi scientifici e della situazione del singolo malato.
Vedremo cosa accadrà in aula. Speriamo che i nostri argomenti, espressi in 48 emendamenti firmati da 42 deputati su 50 componenti del nostro gruppo, possano trovare accoglienza.
In base a come saranno andate le cose decideremo come sarà il nostro voto finale. Valuteremo la realtà, senza pregiudizi ma con alcuni chiari giudizi culturali e politici. 1. Su questo tema ci muoviamo tra l’evidenza che nessuno si è dato la vita da solo e il fatto che ciascuno è liberamente responsabile di scegliere come vivere. Un crinale davvero sottile. Per questo era meglio non normare la linea di confine tra vita e morte. 2. Ogni legge traduce una visione di essere umano e di società. Noi rifiutiamo la visione per la quale ci sono vite degne di essere vissute e altre che non lo sono, perché segnate dalla malattia e dalla sofferenza e dunque è meglio siano “terminate”. Inguaribile è cosa ben diversa da incurabile: la tradizione culturale dell’Occidente, iniziata con Ippocrate e inverata dal Cristianesimo, è una tradizione di cura e di presa in carico del più debole, specie se inguaribile, non della sua soppressione. Questo è l’orizzonte che spinse il governo Berlusconi ha tentare di salvare la vita di Eluana e che fece varare nel 2010 la legge sulle cure palliative, che già oggi consente di non prolungare inutilmente le sofferenze di una persona malata terminale. 3. Per questo in commissione e in aula ho rifiutato la visione caricaturale che mette chi avversa questo testo di legge tra coloro che vogliono costringere i malati a soffrire, contrapposto a chi invece è animato da pietas compassionevole. Questa divisione è parte della “trappola emotiva” che la vicenda di Dj Fabo ha fatto scattare per forzare la mano a noi deputati e far votare alla Camera una legge il più possibile eutanasica. Anche lo sconcerto esibito da molti quotidiani per l’aula vuota di lunedì durante la discussione generale della legge sul fine vita è parte di questo tentativo di forzatura. Noi non ci cascheremo: non si legifera sulla onda di una emozione. Lo si fa per garantire il diritto autentico dei più deboli, in questo caso quello delle persone malate di non essere lasciate da sole.
Pubblicato su Il Foglio, 17 marzo 2017
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